La Porta delle Emozioni

Le emozioni sono il mezzo con cui i nostri pensieri si manifestano nel nostro corpo e si rendono palesi sulla nostra pelle quando ci relazioniamo con gli altri. Quello che più noto è che nella nostra società si è creata una dicotomia: rifiutare le emozioni oppure farsi trascinare dalle emozioni, privandoci così del loro potere alchemico. Spesso il lavoro che mi ritrovo a svolgere come Counsellor*, e innanzi tutto come persona, è quello di migliorare la relazione con le emozioni, uscendo dalla dicotomia, in tre passi:
  1. accettare l’affiorare dell’emozione
  2. ascoltare le parole dell’emozione
  3. lasciarsi trasformare dal Sé.
Che cosa significa accettare l’emozione? Non significa vomitarla addosso a qualcuno, permetterle di farci preda ed agire sotto uno stato quasi allucinato. Essa ha diritto di esistere, ma non il diritto di impadronirsi di noi. Accettare l’emozione innanzi tutto è sentire. Sentire nel corpo fisico il suo movimento. Sedersi con questa emozione e prendere nota che c’è, che sta passando e che se ne andrà. Questa accettazione ci permette di verificare che siamo fatti di Spazio, allentando così l’identificazione con la macchina psico-fisica di cui siamo equipaggiati. L’accettazione è un amorevole “io ti vedo”, è accogliere un apparato fatto di storia, di pensieri e di contenuto, con il quale ci siamo identificati.
Spesso contrastiamo fortemente ciò che sentiamo, imprigionando una energia che poi invece esplode, o si insinua, conducendoci in situazioni che a mente fredda non sceglieremmo. Lasciamo stare per un attimo il Contenuto, la nostra storia personale, e siamo Presenti all’interno del Processo, accettando ciò che è, senza giudizio.
Molti di voi avranno già sentito dire “non sono arrabbiato, la rabbia mi è venuta a trovare”, “non sono triste, la tristezza mi è venuta a trovare”. Non voglio screditare questa formula se funziona, tuttavia le emozioni non vengono dal nulla, sono generate dai nostri pensieri, per questo, salvo patologie, può essere opportuno passare al secondo punto: ascoltare le parole delle emozioni.
Un esercizio che consiglio è quello di scrivere in terza persona, con carta e penna, nero su bianco, cosa dice la nostra emozione. Questa semplice pratica di scrittura aiuta a fare chiarezza, a sbollentare e a vedere la questione con un po’ più di distacco, allentando l’identificazione con l’emozione. Talvolta riconosciamo in queste parole quelle che ci dicevano i nostri genitori, o notiamo delle frasi che ricorrono nella nostra mente frequentemente come dischi rotti “non ce la puoi fare”, “non vai mai bene”, “sono tutti contro di te”, etc. Capita persino di ridere delle assurdità che vengono fuori, del fumo negli occhi e dell’infondatezza di certi pensieri. Salvo casi in cui siamo di fronte ad una situazione che ci mette in pericolo fisico e psicologico, sediamoci dunque con il nostro senso di urgenza: le emozioni immobilizzano o istigano all’azione, per cui consapevoli di questo raccogliamoci nel discernimento, piuttosto che nel pensiero e nelle azioni compulsivi.
Spesso le emozioni che proviamo non sono veramente collegate con il presente, con quanto sta accadendo nel qui ed ora. Eckhart Tolle chiama “Corpi di Dolore”, entità emozionali ed energetiche createsi nella nostra infanzia, sostenute dall’Inconscio Collettivo, e con le quali oggi reagiamo come fosse ieri, non coscienti dell’Adesso. Tolle suggerisce di non seguire e al contempo non entrare in contrasto con le storie che ci raccontiamo nella testa, bensì di accettare ciò che proviamo in quel momento, come una nuvola che viene e che va, attraversando il Cielo che siamo. L’interpretazione che diamo degli eventi, infatti, è ciò che ci fa soffrire, non tanto il fatto in sé: chi sta veramente interpretando la situazione? L’idea che ci siamo fatti di noi, degli altri, e del mondo: essa si pone da filtro davanti ai fatti. Accettare il pacchetto di emozioni che si sta provando, senza prendere una decisione e reagire, permette un accesso, sempre più immediato con la pratica, ad una ‘spaziosià’ interiore, che alleggerisce il senso di claustrofobia dell’Ego, consentendo una maggiore spontaneità e completezza della nostra eventuale azione conseguente. Possiamo notare infatti che vivendo dalla prospettiva dello Spazio che siamo, spesso non occorre agire, e le occasioni in cui siamo chiamati a prendere veramente delle decisioni si contano sulle dita di una mano. Questa consapevolezza ci consente di vivere nel così detto Flusso.
La Presenza, intesa come stato di coscienza, come fluire consapevoli del Sè, non è da confondere con l'auto-osservazione. Quest'ultima può essere un mezzo con cui ci si prepara alla Presenza (le parole purtroppo non aiutano, in quanto in verità noi siamo Presenza). Con l’auto-osservazione, di cui sono certa avete sentito parlare abbondantemente, di contro, alcuni di noi cadono nell’errore di giudicare i propri pensieri e stati emotivi, confondendo l’Osservatore con il Giudice interiore, aumentando così i sensi di colpa e le manie di perfezionismo. Quindi ricordiamo che il vero Osservatore non commenta, non giudica, lascia che la sola consapevolezza operi silenziosa. Conoscere la propria personalità, ovvero prendere coscienza della propria storia personale, del proprio carattere, delle aree di miglioramento, non deve essere il nostro unico scopo, bensì un mezzo, un momento circoscritto per apprendere come funziona l’apparato psico-fisico di cui siamo dotati per fare questa esperienza. Il fine di tutto questo in verità è prepararsi all’ultimo passaggio dove nessuna pratica e nessuna analisi sono più utili, ed occorre lasciare al Sé, alla Vita, di accadere spontaneamente. Mi rivolgo quindi a chi oramai ha dimestichezza a procedere come sopra abbandonando la figura del ricercatore spirituale, o dell’analista di tutto. In questa fase si tratta di consentire alle emozioni di ‘stare’ e di fungere da portale per ricordare lo Spazio interiore che siamo. Senza interpretazioni, senza analisi sugli schemi comportamentali, di cui abbiamo già tante informazioni una volta svolto il lavoro sopra. Quando oramai c’è consapevolezza di come funziona la nostra ‘macchina’, siamo pronti per accedere allo stato di Coscienza che precede la creazione stessa del nostro involucro e del mondo che ci circonda. Conoscendo ciò che non siamo, ricordiamo chi siamo veramente. Accade che la Presenza si attiva grazie ad una emozione dirompente, che sia rabbia, paura, tristezza, vergona o entusiasmo. Qui l’emozione diventa un dono, una porta verso il Cuore. Sboccia la gratitudine verso la Vita, le prove, gli specchi, le emozioni, e tutto quanto accade per spingerci a riconoscere il Divino che dimora in noi.
Il senso di queste righe quindi non è di compiere delle pratiche per lenire o gestire le emozioni, analizzare ed etichettare, ma anzi di ispirare coraggio per attraversarle, o farsi attraversare, senza più provare giudizio e paura. Allora le emozioni possono sfoderare tutto il loro potere alchemico nello Spazio che siamo. Provare per credere.

Michela


Michela Ruffino* accompagna le persone in alcune fasi della crescita esistenziale, quando si percepisce urgente la necessità di fare chiarezza, di scoprire le proprie risorse e i talenti, di ritrovare se stessi e di emanciparsi rispetto a schemi ed emozioni ostacolanti la propria relazione con la Vita. Il carisma di Michela risiede nella comunicazione: attraverso l'osservazione dei pensieri che influenzano la nostra realtà e l'accoglienza del potere alchemico delle emozioni, i colloqui con lei mirano al riconoscimento del divino che dimora nel Silenzio, qui ed ora, in ciascuno di noi.
 
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